XV FIERA DI SAN PANCRAZIO

 “L’opera nostra non è solo nostra.

Sapere, e dire, da dove viene bisogna.

Non siamo mai soli. Siamo coro.”

(Gio Ponti)

Il titolo della XV Fiera di San Pancrazio è tratto da un testo teatrale, “IL CORO”, scritto da Gio Ponti, architetto e designer italiano, nel 1944, quando le bombe cadevano su Milano.

Un coro di voci: uomini, o meglio, operai, contadini, borghesi, soldati, migranti, medici, e donne, spose, madri, maestre, suore, e fanciulli.

In una città con cumuli di macerie, un coro di voci invita il popolo a risollevarsi dalle ferite materiali e morali verso un processo di costruzione dove il singolo fa la sua parte, unica e imprescindibile, all’insegna di uno spirito di collaborazione per il bene comune.

“La personalità non è fatta di solitudini e improvvisazioni… E’ la storia della nostra vita. Deve aver dentro tutto, e tutti”, dice Gio Ponti.

Anche l’artista, allora, non si chiude in una torre d’avorio, ma si fa carico del bisogno della città e dà il suo contributo al pensare e all’agire corale.

Crediamo che questo testo sia fortemente attuale, dopo la pandemia non ancora risolta e il drammatico riaccendersi di scontri militari nella nostra Europa che credevamo non avrebbe più rivisto gli orrori della guerra.

Il messaggio che desideriamo comunicare attraverso l’immagine del coro rimanda alle parole pronunciate da Papa Francesco alla nostra società sempre più individualista:  “Nessuno si salva da solo”.

Parole molto simili ad un  verso del poeta Giovanni Giudici, milanese di adozione, che nella prima raccolta “La vita in versi” del 1965, alla Milano del miracolo economico, con il medesimo senso di collettività, richiamava:  “è impossibile salvarsi da soli”.

Il testo di Gio Ponti ci esorta alla solidarietà e alla collaborazione corale sia nei momenti eccezionali, sia nella quotidianità che viene rappresentata sulla scena da voci diverse, ma solidali.

“ Il coro si intenerisce e conclude al pensiero dell’infanzia” …  “Essi ci salvano, i bimbi, i soli innocenti. Noi li corrompiamo nella nostra contaminazione: la <nostra>  strage degli innocenti. Ma altri fanciulli vengono alla luce, l’umanità è sempre ridente. Sempre fra le nostre voci – roche, affaticate, vecchie, dure, stanche, sfinite – è una voce pura, fresca, limpida.”

Vedano Olona, 23.04.2022                                               Giulia Adamoli

NESSUNO SI SALVA DA SOLO: IL VIAGGIO DI DANTE FRA PAROLE E MUSICA

Andrea Chiodi, regista varesino, omaggia i 700 anni di Dante con una lettura di brani scelti delle tre cantiche dantesche, intitolato “Da che verso prender la Commedia”.

Lo accompagna al pianoforte Ferdinando Baroffio.

Un leggio, un pianoforte e la chiesa di San Pancrazio illuminata di diversi colori (dal rosso che incornicia Minosse ai delicati toni freddi per accogliere la preghiera di San Bernardo alla Vergine Maria), basta questo per regalare un’atmosfera onirica che ci trasporta altrove.

A fine lettura Andrea ci racconterà che ormai si occupa di regia, ma presta ancora la sua voce per Dante, lo fa con piacere e emozione. A me dice che è uno studio legato all’inizio del suo percorso teatrale, all’incontro con Piera degli Esposti. Ricorda di averlo messo in scena anche sul sagrato del duomo d’Orvieto. Un passato che torna presente appena sfoglia le prime pagine sul leggio, perché, quando si fa vivere un testo immortale come questo, ciò che vive sono anche le esperienze, i pensieri di chi porta quell’emozione e di chi l’accoglie. Quando la lettura termina, Andrea commenta: – Mi mancava la gente-.

La gente mancava, perché il pensiero non vive solo attraverso un lettore o un musicista, per quanto bravi: vive grazie all’ascolto di chi partecipa a quell’incontro, di coloro che muovono quasi impercettibilmente la testa al suono del piano, respirano a ritmo con le parole del testo, sostengono il racconto con il loro rumoroso silenzio.

Nessuno si salva da solo, anche Dante ha bisogno di una guida. Un Dante che non ci appare come il poeta famoso, ma come un uomo comune, pieno di dubbi e incertezze, completamente affidato a Virgilio, guida saggia e sicura che lo incoraggia a porre domande, gli indica la strada quando lo smarrimento aumenta, trova le parole per rabbonire Catone quando questi vorrebbe interrompere il viaggio di Dante.

Ma se nella vita sono le guide a farci ritrovare un sentiero spesso perduto, sono gli incontri che rendono interessante il viaggio e ci raccontano di più sulle nostre emozioni: l’amore nel turbine che travolge gli spiriti amanti, fra cui spicca Francesca; il dolore e la vendetta nei morsi del conte Ugolino all’arcivescovo Ruggieri, causa della sua morte e di quella dei figli; il desiderio di conoscenza nel racconto di Ulisse; la visione della Trinità in Paradiso che svela il mistero della fede.

A impreziosire questo viaggio di parole che divengono musica alternandosi al suono del piano, la bellissima chiesa di San Pancrazio, a ricordarci che cultura, arte e fede sanno unirsi in un unico quadro per portarci la bellezza dell’incontro con l’altro.

Cos’ha da dire ancora all’uomo d’oggi Dante, mi chiedo, e mi viene da pensare a una riflessione di Franco Nembrini di qualche anno fa: nel ventre del pescecane Pinocchio, di fronte a un padre scoraggiato e arreso a un’esistenza senza più aspettative, reagisce indicandogli un cielo stellato, una speranza, una luce oltre il buio che sta attraversando. È la stessa immagine che usa Dante quando scrive “uscimmo a riveder le stelle”. La letteratura, la cultura che viaggiano nel tempo, risignificandosi, rincontrandosi. È questo il senso dell’educazione: ricordarci sempre di alzare il nostro sguardo, guardare più in alto, ricercare la luce oltre il buio. In tempi come quelli di oggi in cui la fatica, l’incertezza e le preoccupazioni attraversano la quotidianità di tutti, ricordare il viaggio di Dante, il viaggio dell’uomo perso nella selva angosciosa dei suoi dubbi, non è solo utile, è necessario. È necessario mettere al centro l’umano, che non è né di oggi né di ieri, ma dell’Eterno.

Simona Bramanti