Andrea Chiodi, regista varesino, omaggia i 700 anni di Dante con una lettura di brani scelti delle tre cantiche dantesche, intitolato “Da che verso prender la Commedia”.
Lo accompagna al pianoforte Ferdinando Baroffio.
Un leggio, un pianoforte e la chiesa di San Pancrazio illuminata di diversi colori (dal rosso che incornicia Minosse ai delicati toni freddi per accogliere la preghiera di San Bernardo alla Vergine Maria), basta questo per regalare un’atmosfera onirica che ci trasporta altrove.
A fine lettura Andrea ci racconterà che ormai si occupa di regia, ma presta ancora la sua voce per Dante, lo fa con piacere e emozione. A me dice che è uno studio legato all’inizio del suo percorso teatrale, all’incontro con Piera degli Esposti. Ricorda di averlo messo in scena anche sul sagrato del duomo d’Orvieto. Un passato che torna presente appena sfoglia le prime pagine sul leggio, perché, quando si fa vivere un testo immortale come questo, ciò che vive sono anche le esperienze, i pensieri di chi porta quell’emozione e di chi l’accoglie. Quando la lettura termina, Andrea commenta: – Mi mancava la gente-.
La gente mancava, perché il pensiero non vive solo attraverso un lettore o un musicista, per quanto bravi: vive grazie all’ascolto di chi partecipa a quell’incontro, di coloro che muovono quasi impercettibilmente la testa al suono del piano, respirano a ritmo con le parole del testo, sostengono il racconto con il loro rumoroso silenzio.
Nessuno si salva da solo, anche Dante ha bisogno di una guida. Un Dante che non ci appare come il poeta famoso, ma come un uomo comune, pieno di dubbi e incertezze, completamente affidato a Virgilio, guida saggia e sicura che lo incoraggia a porre domande, gli indica la strada quando lo smarrimento aumenta, trova le parole per rabbonire Catone quando questi vorrebbe interrompere il viaggio di Dante.
Ma se nella vita sono le guide a farci ritrovare un sentiero spesso perduto, sono gli incontri che rendono interessante il viaggio e ci raccontano di più sulle nostre emozioni: l’amore nel turbine che travolge gli spiriti amanti, fra cui spicca Francesca; il dolore e la vendetta nei morsi del conte Ugolino all’arcivescovo Ruggieri, causa della sua morte e di quella dei figli; il desiderio di conoscenza nel racconto di Ulisse; la visione della Trinità in Paradiso che svela il mistero della fede.
A impreziosire questo viaggio di parole che divengono musica alternandosi al suono del piano, la bellissima chiesa di San Pancrazio, a ricordarci che cultura, arte e fede sanno unirsi in un unico quadro per portarci la bellezza dell’incontro con l’altro.
Cos’ha da dire ancora all’uomo d’oggi Dante, mi chiedo, e mi viene da pensare a una riflessione di Franco Nembrini di qualche anno fa: nel ventre del pescecane Pinocchio, di fronte a un padre scoraggiato e arreso a un’esistenza senza più aspettative, reagisce indicandogli un cielo stellato, una speranza, una luce oltre il buio che sta attraversando. È la stessa immagine che usa Dante quando scrive “uscimmo a riveder le stelle”. La letteratura, la cultura che viaggiano nel tempo, risignificandosi, rincontrandosi. È questo il senso dell’educazione: ricordarci sempre di alzare il nostro sguardo, guardare più in alto, ricercare la luce oltre il buio. In tempi come quelli di oggi in cui la fatica, l’incertezza e le preoccupazioni attraversano la quotidianità di tutti, ricordare il viaggio di Dante, il viaggio dell’uomo perso nella selva angosciosa dei suoi dubbi, non è solo utile, è necessario. È necessario mettere al centro l’umano, che non è né di oggi né di ieri, ma dell’Eterno.
Simona Bramanti